Recensione Cercando Alaska - John Green

Risultati immagini per cercando alaskaTitolo: Cercando Alaska
Autore: John Green
Editore: Rizzoli
Genere: Romanzo
Pagine: 316
Prezzo: €14,00 (copertina flessibile verde)
Pubblicazione: 3 marzo 2005 (in America)
Voto personale: 4 su 5
Trama:
 Miles Halter, solitario collezionista di Ultime Parole Famose, lascia la tranquilla vita di casa per cercare il suo Grande Forse a Culver Creek, una prestigiosa scuola in Alabama. E’ qui che conosce Alaska. Brillante, buffa, svitata, imprevedibile e molto sexy , per Miles diventa un enigma, un pensiero fisso, una magnifica ossessione

La mia recensione
Ho conosciuto John Green con Colpa delle stelle che ho letto dopo che ogni persona di mia conoscenza lo aveva elogiato all’inverosimile, definito come uno dei libri più belli che avessero mai letto e altre migliaia di cose stupende. Al che l’ho lessi anchi'io, ma decisi di non recensirlo, perché ero perplesso: non saprei indicare specificamente una cosa che non mi sia piaciuta, eppure mi aspettavo di più dopo tutto quello che mi era stato detto. Credo sia un’opinione abbastanza fuori dal coro, ma che ci posso fareè colpa di tutte quelle aspettative che avevo quando lessi Colpa delle stelle. Ma nonostante ciò questa volta ho trovato una storia più vicina a me, che ho fatto subito mia. Diciamo che è un bellissimo libro che ha lasciato qualcosa dentro di me. Cercando Alaska, dopo Colpa delle stelle posso dire che sia il lavoro più riuscito di Green. 
Indubbiamente John Green è uno scrittore fenomenale: il suo stile è semplice, ma coinvolgente; la sua ironia a tratti pungente, a tratti più delicata fa letteralmente divorare le pagine una dopo l’altra. E poi è magistrale il modo in cui crea i suoi personaggi: intanto tende a mettere in evidenza le stranezze di ognuno, ma non in modo inverosimile o surreale. Tutti abbiamo quelle particolarità nei nostri caratteri e nelle nostre abitudini che non ci definiscono complessivamente per quello che siamo, ma che in fondo riescono a distinguerci. Ecco, John Green mette in risalto questi punti, ci gira intorno, costruisce una persona combinando ogni piccola caratteristica. Ne viene fuori Miles e la sua abitudine di imparare a memoria le ultime parole di personaggi più o meno famosi,  la tendenza ad estrapolare il senso di una vita da quella manciata di lettere e farle sue. Cambia scuola alla ricerca del suo grande forse (ultime parole di Rabelais) e lo trova in Alaska. 
Alaska l’ho amata dall’inizio alla fine: uno di quei personaggi talmente riusciti che te li porti dentro. Quella sua stanza tappezzata da libri che dovrà assolutamente leggere, quella sua solitudine dovuta a un senso di colpa che la opprime e la isola. La sua intelligenza, l’aria di chi ha già visto troppo, la bellezza mozzafiato e un senso dell’amicizia forte, ma una fragilità immensa. 
A Culver Creek conosce anche il Colonnello, il suo compagno di stanza, quel tipo di persona che tutti vorremmo come amico. Non troppo espansivo, ma sempre lì per gli altri. Molto intelligente, altrettanto gentile, e sempre disponibile per un po’ di baldoria. E poi sullo sfondo, ma non troppo, altri personaggi che compaiono per più o meno tempo, presentati con quella tendenza a metterli un po’ in ridicolo, anche solo leggermente, ma che li fa sentire subito più vicini, più reali. 
Miles si innamora di Alaska dal primo momento, senza conoscerla né allora né mai. Ma si innamora anche della sua vita lì, di quella routine tra studio, fughe, sigarette e il peggior vino in circolazione. Si sente al suo posto, finalmente dopo anni di scuola passati nell’angolo, in attesa di qualcosa che gli facesse sentire di aver davvero vissuto. E insieme alla fortuna che effettivamente ha, vive quell’accontentarsi delle stranezze di Alaska: lunatica, enigmatica, sconosciuta. Ma fa parte del gioco. Solo alla fine del romanzo forse arriverà a conoscerla davvero. Forse capirà cosa vuol dire convivere con un senso di colpa indefinito ma costante, autodistruggersi per quel ricordo che sembra ormai scolpito nella coscienza. Capirà che quella vita che aspettava deve viverla un po’ di più, e che forse non porterà con sé per sempre tutto quello che sta vivendo, che le persone si perdono, si perdono i ricordi, ma quello che ci rimane dentro, che ci forgia un po’, resta per sempre. E che nessuna esperienza può avere il potere di annientare la nostra essenza, quello che siamo davvero è immortale. 
Pensiero finale
Ora, cos’è che mi ha conquistato così tanto, al di là dei personaggi e della trama in sé? L’autenticità con cui viene raccontata e vissuta l’esperienza del cambiamento di città, di scuola, di amici; la bellezza di trovarsi un proprio posto tra Alaska, Takumi e il Colonnello, e sentirsi al sicuro, protetto; quella rassicurante certezza di poter condividere anche le cose peggiori, anche senza parlare; la sensazione di non riuscire ad afferrare tutto, che il tempo vada troppo veloce, che ci siano troppe sensazioni che scorrono tra immagini e rcordi. E invece quello che conta resta per sempre, quell’odore che esce dalla stanza di Alaska e si ferma nell’aria lo riconosceresti anche tra mille anni; quello che scegli di portare con te, ti segna, nel bene e nel male. E quello che sei, invece, non cessa di essere, anche quando pensi che il mondo intero sia a pezzi, forse devi solo rimboccarti le maniche e farti forza e cambiare un po’. Camminare con coraggio nel labirinto, perché in fin dei conti ci sono quei tratti luminosi che assolutamente valgono la pena del buio, e sta a noi trascinarcene fuori.


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